Storia

Villa Pace incarna secoli di storia europea, di vicende familiari e rifacimenti architettonici in un microcosmo culturale e innovativo.

Nel cuore della pianura friulana Villa Pace si erge maestosa al centro del piccolo borgo rurale di Tapogliano, in provincia di Udine. Questa dimora secolare si trova in posizione privilegiata, vicina a tre siti UNESCO: Aquileia con i suoi straordinari resti dell’impero romano; Palmanova, la “città stellata” fondata dalla Serenissima Repubblica di Venezia nel 1593, celebre per la sua pianta poligonale a nove punte; Cividale, culla della cultura longobarda. Nelle vicinanze si trova anche Grado, storica spiaggia dell’impero asburgico.

Villa Pace, sentinella silenziosa di secoli di storia, intreccia vicende amorose, di guerra e di pace, con le grandi narrazioni europee. La Villa è collocata al centro di un parco cinto da mura in pietra e custodita tra due barchesse, una a est e una a ovest, testimoni di una fervida vita economica, sociale e culturale.

La famiglia Pace, giunta in Friuli alla fine del 1200 al seguito dei Della Torre, scacciati dai Visconti dalla signoria di Milano, prospera dapprima al servizio dei Patriarchi poi al servizio degli Asburgo, conquistando una posizione di rilievo alla corte di Vienna. È il Conte Carlo Maria Pace Feldmaresciallo di Leopoldo I d’Asburgo, il committente della Villa di Tapogliano realizzata nella seconda metà del Seicento. Villa Pace, di forma cubica con quattro torri angolari, incarna la visione del Conte Pace, che si guadagna il titolo di Barone del S.R.I. e il privilegio di inserire l’aquila bicipite nel proprio stemma, per il suo impegno nelle guerre contro i Turchi, dalla liberazione di Vienna (1683) e di Budapest (1686) fino alla battaglia decisiva di Zenta (1697).

Percorrendo le stanze della Villa, si è avvolti dal fascino della storia. Stucchi veneziani dialogano con salotti in stile rococò e caminetti angolari della tradizione mitteleuropea, fondendo influenze che arrivano tanto da Venezia quanto da Vienna. Il presente non deriva dal passato, ma lo contiene. Lo scrive Italo Svevo, nato a Trieste nel 1861, in uno dei suoi più celebri romanzi, La coscienza di Zeno. L’espressione dello scrittore triestino cattura l’essenza di Villa Pace che invita a immergersi in un presente che racchiude in sé tutta la ricchezza della sua storia.

Un secolo dopo la sua costruzione, intorno alla metà del Settecento, la Villa subisce un importante rifacimento per opera di un altro Carlo Maria Pace. Questa volta non si tratta di un combattente, bensì di un famoso agronomo, Commendatore dell’Ordine di Santo Stefano e Ciambellano dell’Imperatore, che dona alla Villa il suo aspetto attuale. Nel 1747, Carlo Maria Pace sposa Giuliana di Edling, una delle dame predilette di Maria Teresa d’Austria (prima donna a salire sul trono degli Asburgo). La tradizione familiare tramanda che la sovrana acconsentì alle nozze a condizione che il Conte costruisse per la sua dama una dimora degna del suo rango. Rispettando questo patto e per amore di Giuliana, il Conte Carlo Maria fa realizzare uno scalone ellissoidale che, dal salone d’ingresso, conduce al piano nobile e in particolare al magnifico salone da ballo a doppia altezza, considerato tra i più belli del Friuli. Il dipinto del 1750 sul soffitto raffigura La gloria della famiglia Pace (dal motto justitia et pax osculate sunt) un’opera attribuita ad Antonio Guardi, ma con buona probabilità realizzata invece dallo Scajaro, allievo del Tiepolo. Nel sontuoso salone rococò si assapora il microcosmo di stili che caratterizzano la Villa, sotto lo sguardo di Maria Teresa, raffigurata in un bel dipinto di Karl Heinrich Brandt. Il ricordo della sovrana di Vienna è vivo in questa terra di confine, il Friuli Venezia Giulia, da sempre crocevia di culture che si arricchiscono a vicenda. Maria Teresa, figlia dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo, continuò infatti l’opera del padre trasformando il porto di Trieste nel maggiore porto commerciale dell’impero. A lei si deve l’anima multietnica della città, la vocazione commerciale e marittima e l’avvio di una straordinaria epoca di modernizzazione che la vide attuare riforme in ambito scolastico, istituzionale e finanziario. Durante il suo regno la città giuliana si trasformò nella splendida realtà mitteleuropea che conosciamo oggi, grazie a un autentico boom demografico, economico e sociale. Il passaggio di Trieste da piccola città a grande centro di commerci europei e internazionali non sarebbe avvenuto senza l’opera lungimirante della Sovrana nei suoi quarant’anni di regno.

E come in tutte le dimore nobiliari del Friuli orientale, anche Villa Pace custodisce una stanza detta “dell’Imperatrice”: una camera da letto riservata al caso in cui l’Imperatrice (o l’Imperatore) avessero onorato la casa della loro presenza. La stanza dell’Imperatrice non è solo un simbolo di deferenza verso la corona asburgica, ma anche un tesoro di memorie familiari. Al suo interno si trovano due quadri di grande valore storico e sentimentale: uno ritrae Bernardino Pace, mentre l’altro ritrae sua moglie Teresa di Abensberg und Traun, figura femminile straordinaria nella storia della famiglia. Teresa infatti non fu solo scrittrice e poetessa, ma si distinse anche come abile amministratrice dei beni di famiglia. La sua competenza e affidabilità erano tali che non solo gestiva il patrimonio dei Pace, ma le furono affidati anche beni della Chiesa e di altre famiglie del villaggio durante il tumultuoso passaggio dell’esercito napoleonico.

La storia non è sempre stata gentile con Villa Pace, che al passaggio del fronte durante entrambe le guerre mondiali, ha subito danni, modifiche e saccheggi come quasi tutte le dimore storiche sui fronti di guerra. Un importante testimonianza di questo periodo turbolento è emersa dall’Archivio di Stato di Gorizia: una fotografia che ritrae i generali Armando Diaz e Luigi Cadorna mentre pranzano nel parco della Villa, a testimonianza del fatto che proprio in quel luogo aveva sede un comando militare italiano. Tuttavia, il destino ha poi condotto Villa Pace in un presente più fortunato. Attraverso i percorsi tortuosi della storia e di generazione in generazione, la dimora è giunta nelle mani di Giacomo de Pace, un ingegnere strutturista, e di sua moglie Teresa Perusini, restauratrice e storica dell’arte. Negli ultimi vent’anni, Giacomo e Teresa hanno intrapreso un’ambiziosa opera di restauro della Villa, che ha portato alla luce tesori inaspettati. La sinergia tra competenze ingegneristiche e conoscenze storico-artistiche ha permesso non solo di preservare l’integrità statica della Villa, ma anche di riscoprire e valorizzare il suo patrimonio nascosto. In particolare, in una delle sale al piano nobile, dopo essere rimaste celate per anni sotto strati d’intonaco, sono state riportate alla luce pitture murali che raffigurano un paesaggio agreste e i porti di Tolone e di Marsiglia. Queste opere sono fedeli riproduzioni delle incisioni di Giuseppe dell’Acqua, basate su dipinti del pittore e incisore francese Joseph Vernet. Le ricerche svolte nell’identificazione di queste pitture hanno rivelato anche un altro particolare interessante ovvero che Carlo Maria Pace è uno dei primi nobili friulani a investire una cospicua somma nell’impresa di Manasse Morpurgo, che in quegli anni fonda l’Assicurazione da mar che sarebbe poi diventata le Assicurazioni Generali.

Ma la scoperta più sorprendente è avvenuta in una delle stanze della torre est. Qui è stata rinvenuta quella che molto probabilmente è la più antica raffigurazione in pittura murale in Italia de I viaggi del capitano James Cook, uno dei più celebri esploratori del XVIII secolo. Il modello della raffigurazione è tratto dalle antiporte della prima edizione italiana de I viaggi del capitano James Cook edita a Napoli nel 1784. È ancor più straordinaria la scoperta di altre quattro scene che derivano dalle antiporte della Histoire philosophique et politique des ètablissemens et du commerce des europeéns dans le deux Indes de l’Abbé Raynal, un amico di Diderot che scrive nel 1774 quello che è uno dei primi libri contro la schiavitù pubblicato in Europa. Questo libro messo all’indice dall’ancien regime, trova una sorprendente eco visiva sulle pareti di Villa Pace. Sebbene queste pitture murali non siano di eccezionale qualità artistica, il loro valore iconografico è inestimabile. Esse rappresentano non solo una finestra su mondi lontani e culture diverse, ma anche una testimonianza tangibile del pensiero illuminista e delle correnti progressiste che circolavano in Europa nel XVIII secolo.

Il viaggio tra le meraviglie di Villa Pace ci conduce a un’altra sala al piano terra, esposta a est, che un tempo ospitava la preziosa biblioteca di Carlo Maria Pace. Questa collezione libraria non fungeva solo da ornamento della Villa, ma costituiva un vero e proprio tesoro culturale che Carlo Maria volle legare al fedecommesso insieme alla proprietà terriera e alla Villa. Il fedecommesso, un istituto giuridico dell’epoca, permetteva di mantenere intatto il patrimonio familiare attraverso le generazioni, obbligando l’erede – in genere il maschio primogenito – a conservare e trasmettere i beni al successore designato. Nel caso della della biblioteca tuttavia Carlo Maria volle che essa – pur restando in proprietà indivisa al figlio primogenito d’ogni generazione – fosse aperta per lo studio a tutti i famigliari e a tutti gli studiosi che ne facessero richiesta. Per l’epoca una interpretazione veramente moderna d’una biblioteca famigliare. La biblioteca di Carlo Maria Pace era un gioiello di erudizione e rarità bibliografiche di 12.500 volumi tra cui spiccavano oltre 400 incunaboli e diversi manoscritti. Questa ricchezza letteraria testimoniava non solo la vastità degli interessi culturali dei Pace, ma anche il loro ruolo di mecenati e custodi del sapere in una regione di confine come il Friuli. Purtroppo, come spesso accade nella storia, anche questo tesoro culturale ha sofferto di cambiamenti politici e sociali. Con l’avvento delle leggi napoleoniche e la conseguente abolizione del fedecommesso, nel 1824, i quattro fratelli Pace decisero di vendere “la magnifica e scelta libreria” (come la chiamavano i contemporanei). La dispersione di questa importante raccolta libraria rappresenta una perdita inestimabile non solo per Villa Pace, ma per l’intero patrimonio culturale della regione. Tuttavia, grazie a una fortunata scoperta nell’Archivio di Stato di Gorizia, è stato possibile recuperare almeno l’elenco completo dei libri un tempo custoditi nella biblioteca. Edizioni pregiate e opere che attraversano secoli di sapere umano dipingono il ritratto di una famiglia immersa nella cultura del suo tempo e proiettata verso orizzonti di conoscenza vasti e variegati. La storia della biblioteca di Villa Pace, con la sua grandezza passata e la sua drammatica dispersione, aggiunge un ulteriore strato di profondità alla già ricca narrazione di questa dimora, e fa riflettere sul valore inestimabile dei beni culturali e della loro conservazione.

La Villa Pace è completata dalla presenza di due barchesse, – situate rispettivamente a est e a ovest – che un tempo costituivano il fulcro dell’attività agricola della tenuta. Anche queste strutture hanno subito negli ultimi anni una ristrutturazione che ne ha preservato l’aspetto pur modificandone le funzioni, perché è noto che è possibile conservare solo ciò che è utilizzato. La barchessa est in particolare ospitava una fiorente attività di bachicoltura. Qui venivano allevati i preziosi bachi da seta, dando vita a una produzione rinomata per la sua qualità. La bachicoltura era infatti un’importante fonte di reddito per la tenuta e testimoniava anche il ruolo di Villa Pace nel contesto economico del Friuli austriaco del XVIII secolo. Oggi questa barchessa ha vissuto una metamorfosi significativa. Dove un tempo si sentiva il fruscio dei bachi da seta, ora risuona il tintinnio delle bottiglie nella raffinata champagneria che ospita i vini dell’azienda Perusini. Teresa Perusini, oltre al suo ruolo di conservatrice e storica dell’arte è infatti l’erede di una dinastia di viticoltori di grande prestigio (i Perusini sono infatti una delle 50 famiglie italiane inserite da Luigi Veronelli nel 1986 nel suo Historic Italian Wine-growers). Questa trasformazione delle barchesse va oltre il semplice cambio di funzione: è un ponte simbolico che collega l’antica ricchezza della seta all’eccellenza vinicola contemporanea, in un continuum di tradizione e innovazione. L’azienda vinicola Perusini, gestita oggi dai tre figli di Giacomo e Teresa – Tommaso, Carlo e Michele – incarna la continuazione di una tradizione di eccellenza dalle radici profonde quanto quelle dei gelsi che un tempo nutrivano i bachi da seta. Nel parco della Villa, un maestoso gelso di 250 anni si erge come testimone vivente di quest’epoca passata. L’altra barchessa, invece, è stata sapientemente convertita in eleganti alloggi privati, offrendo agli ospiti l’opportunità unica di soggiornare in spazi storici, immersi nell’atmosfera secolare di Villa Pace, pur godendo di tutti i comfort moderni. Questa fusione di storie e tradizioni – dalla pregiata seta ai vini d’eccellenza, dagli spazi agricoli trasformati in accoglienti alloggi – incarna perfettamente lo spirito di Villa Pace: un luogo dove il passato non è mai statico, ma continua a vivere e trasformarsi.

Chi non volge lo sguardo al passato, non può scrutare l’orizzonte del futuro. Villa Pace incarna questa verità. L’umanità è intessuta in un continuum storico, un filo aureo che attraversa il tessuto del tempo, legando indissolubilmente passato, presente e futuro. Nel delicato equilibrio tra la custodia della memoria e l’audacia dell’innovazione, si cela forse il più prezioso insegnamento che questa nobile dimora offre: la vera grandezza risiede nella capacità di onorare il retaggio del passato mentre si plasma, con mano ferma e visione audace, il destino del domani. Per questo Teresa e Giacomo hanno voluto far scrivere sopra una porta d’ingresso della Villa la bella frase di Gustav Mahler: “Tradizione è custodia del fuoco, non culto delle ceneri”.

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