È novembre del 2024 quando un bellissimo pianoforte a coda “Schweighofer” fa ritorno nella stanza della musica di Villa Pace. Non è solo uno strumento prezioso: è un frammento di memoria che attraversa le generazioni, custode silenzioso di vite, legami e destini intrecciati nel tempo.

Costruito nel 1895, come attesta il numero di serie inciso all’interno della cassa armonica, il pianoforte è opera della celebre fabbrica viennese fondata nel 1792 da Michael Schweighofer. Ogni pianoforte è un’opera di altissimo artigianato. Strumenti unici, capaci di racchiudere in sé una voce autentica e profonda. Non sorprende che tale eccellenza valse alla famiglia Schweighofer l’onore di essere nominata fornitrice ufficiale di pianoforti per l’Imperatore d’Austria.

Il pianoforte giunse a Villa Pace come dono d’affetto. Fu Rodolfo Pace von Friedensberg che, insieme alla moglie Rosa Lapenna, lo regalò alla giovane nipote Tea, accolta in casa e cresciuta come una figlia dopo essere rimasta orfana all’età di dieci anni. Con la prematura scomparsa della baronessa nel 1920, a soli trentatré anni, il pianoforte rimase a lungo in silenzio, fino a quando lo scoppio della Seconda guerra mondiale non lo mise in pericolo.

Il conte Marino Pace, figlio di Rodolfo e di Rosa, preoccupato per l’incolumità dello strumento, decise di trasferirlo presso l’abitazione di un suo fidato collaboratore, Giuseppe Tomasin, che lo custodì nella propria dimora a poche centinaia di metri dalla Villa. Eligio, il figlio di Giuseppe, lo vide e restò incantato dalla sua bellezza e maestosità. Era solo un ragazzino, ma in quello strumento vide riflessa l’immagine di sé proiettata nel futuro. Il conte Marino, percependo la straordinaria passione di quel giovane per la musica, compì un gesto di rara generosità. Al termine del conflitto, quando sarebbe stato naturale riportare il pianoforte nella sua collocazione originaria, decise invece di regalarlo a Giuseppe, con l’unica condizione che permettesse al figlio Eligio di studiare musica e coltivare quella vocazione così forte. E così avvenne: Eligio Tomasin studiò con dedizione, divenne un musicista apprezzato, e il pianoforte della baronessa Tea rimase al suo fianco, testimone di un’intera vita consacrata all’arte dei suoni.

Dopo alcuni anni dalla morte del maestro Eligio, grazie a una serie di circostanze che paiono disegnate ad arte dal destino, le due famiglie si ritrovano inconsapevoli l’una della storia dell’altra. E, a novembre del 2024, la moglie di Eligio, Fiorinda Gallas, e le loro figlie Federica e Marzia decidono di restituire il pianoforte affidandolo alla custodia e alla cura di Giacomo de Pace, ultimo erede del conte Marino, e di sua moglie Teresa Perusini. Il pianoforte, segnato dal passare del tempo e dalla naturale usura, aveva perso stabilità, e la meccanica interna era bisognosa di mani esperte e pazienti. E allora, se responsabilità significa anche prendersi cura, Giacomo e Teresa interpretano questo compito nel modo più nobile, facendosi carico del suo restauro.

Roberto Monis e Marina Rodaro Litvin si occupano del restauro del mobile per stabilizzare la struttura e ritoccare la cartellinatura, senza alterare l’identità storica del pianoforte. Il loro lavoro è preciso, consapevole e rispettoso.

Ma è nel restauro della meccanica che il pianoforte torna davvero a vivere. A occuparsene è Marco Grassi, pianista e restauratore, il cui lavoro unisce conoscenza tecnica e profonda empatia per lo strumento. Ogni martelletto viene ispezionato, alcune corde sostituite, i feltri rinnovati, i punti di attrito corretti. È un lavoro paziente, fatto di ascolto e di piccoli aggiustamenti, che culmina nel momento in cui lo strumento riprende a cantare. La voce che ne emerge è calda, piena, ricca di sfumature e sembra racchiudere in sé la memoria di tutte le mani che lo hanno accarezzato nel tempo.

Oggi il pianoforte troneggia in tutto il suo splendore nella stanza della musica di Villa Pace. È una presenza viva in cui si intrecciano le vite di Tea, di Marino, di Eligio e dei loro discendenti. È l’incarnazione tangibile della forza di un dono capace di attraversare generazioni, mutare destini e accendere vocazioni. Ogni nota che si libera nell’immensità del suono è testimonianza di una storia che non ha mai smesso di fluire nel tempo. E mentre lo si ascolta risuonare nelle stanze che per prime lo accolsero, il tempo sembra piegarsi su se stesso: passato e presente che si toccano, ancora, e in un eterno ritorno.

Ascolta la storia di Eligio Tomasin

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